E’ possibile praticare la pesca sostenibile?
Ciao a tutti ragazzi, io sono Alessandro Nicoletti, biologo marino e fondatore dell’associazione ecologista Keep the Planet e oggi volevo parlarvi della pesca, una delle più antiche pratiche dell’essere umano.
Leggi l’articolo o guarda il video:
Sin da quando siamo su questo pianeta, i mari e gli oceani hanno fornito beni e servizi fondamentali per lo sviluppo della nostra specie.
Nelle Caverne di Blombos in Sud Africa sono stati trovati resti di pesci risalenti a 140-150.000 anni fa, tutti appartenenti a specie che vivono in acque basse, dimostrando come l’uomo utilizza il mare per ricavare il cibo sin dagli albori della civiltà.
Mentre Gli archeologi della Australian National University hanno scoperto nel 2011 le più antiche prove di pesca d’alto mare nella preistoria, dimostrando che circa 20.000 anni fa i nostri antenati praticavano la pesca d’altura, riuscendo a catturare tonni e altri grossi pesci.
Oggi, questa incredibile magia, questo sottile equilibrio millenario tra mare e uomo si sta rompendo per sempre, e ovviamente la colpa è soltanto nostra.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, la società umana ha intrapreso un percorso capitalistico fondato sulla crescita infinita dove ogni bene naturale diventa una risorsa economica da sfruttare nel più breve tempo possibile fino all’inevitabile collasso.
Gli esempi sono praticamente infiniti, dalla deforestazione incontrollata che sta spazzando via gli ultimi angoli selvaggi del pianeta e con esso incredibili specie animali e vegetali, allo sfruttamento degli stock ittici che stanno via via sparendo dai nostri mari.
Da una parte il nostro modello economico che si fonda su dei principi che non considerano l’esaurimento delle risorse naturali, dall’altra l’incredibile aumento della popolazione umana in un brevissimo arco di tempo, che insieme stanno compromettendo la capacità rigenerativa della natura.
In mare, questo significa che presto non troveremo più pesce da pescare.
Situazione della pesca
Le stime Fao parlano chiaro, oltre il 90% dei 600 stock ittici valutati è sfruttato al suo massimo biologico, di questo il 30% è sovrasfruttato, mentre solamente il 7% è sfruttato al di sotto del suo massimo potenziale.
Questi dati indicano chiaramente che le risorse ittiche disponibili in mare non possono sostenere la domanda crescente di prodotti ittici.
Grigliate di pesce, sushi, paella, diventeranno presto un lontano ricordo se non cambiamo velocemente le politiche di pesca a livello internazionale.
Sempre secondo le stime Fao, nel mondo ci sono più di 15 milioni di pescatori che direttamente si sostengono economicamente dalla pesca, mentre oltre 3 miliardi di individui fanno affidamento sulle risorse ittiche per il 20% del loro approvvigionamento proteico.
Il consumo di pesce è aumentato fino a 20 Kg per persona all’anno dai soli 9 chili registrati negli anni 60, e questo trend è destinato a crescere.
E’ chiaro che con il 90% degli stock ittici sfruttati al limite, è necessario un cambiamento epocale.
La buona notizia è che se rispettiamo la biologia dei pesci, possiamo trasformare la pesca in un’attività sostenibile.
Cosa significa pesca sostenibile
Secondo la terminologia scientifica, per pesca sostenibile si intende lasciare sufficienti individui di una determinata specie di pesce in mare per dare alla popolazione la possibilità di riprodursi nel corso del tempo. Tutto questo, senza distruggere gli habitat naturali per garantire il necessario supporto ambientale alla specie.
La sostenibilità della pesca può essere valutata a seconda del mezzo di pesca utilizzato, dall’intensità dello sforzo di pesca, dallo storico delle prede catturate, dalla possibilità dello stock ittico di riprodursi da generazione a generazione e dal guadagno economico sufficiente per il pescatore.
Sostenibile è la pesca che preleva dal mare solo ciò che ci serve, senza sprechi e utilizzando attrezzi artigianali che hanno un basso impatto sull’ambiente e sulla fauna marina.
È quella pesca che dura da millenni e che considera il mare un bene comune della comunità, da tutelare per noi e soprattutto per le generazioni future.
Tantissimi piccoli pescatori sparsi nei quattro angoli del pianeta lo sanno molto bene, ma queste piccole imprese familiari che pescano nel rispetto del mare vengono schiacciati dal potere della pesca industriale, che domina il mercato del pesce e impoverisce pescando in modo eccessivo e spesso distruttivo.
Esiste la pesca sostenibile?
Quando valutiamo un determinato prodotto ittico, dobbiamo domandarci 3 cose?
Vengono lasciati sufficienti individui in mare per garantire il proseguimento della specie?
Il metodo di pesca distrugge l’habitat naturale?
Le operazioni di pesca sono gestite in modo da evitare la cattura di specie quali squali, cetacei e tartarughe protette da leggi di tutela?
Se solo una di queste domande non trova risposta affermativa, significa che la pesca non è sostenibile.
Un esempio di successo nella gestione delle risorse ittiche ci arriva dalla Nuova Zelanda, dove grazie a politiche di lungimiranza tutte le risorse ittiche del paese sono state protette.
Negli anni 80 infatti l’intero comparto era sull’orlo del collasso ecologico per via dell’eccessivo sfruttamento delle risorse.
Il governo, capita la gravità della situazione implementò velocemente un sistema di quote di pescato massimo per specie suddiviso tra i vari pescatori.
Questo sistema integrato con rigorosi controlli e un aumento delle aree marine protette dove la pesca fu vietata, fece diventare la Nuova Zelana un modello di riferimento a livello internazionale.
La buona notizia è che possiamo rendere la pesca sostenibile, ma per farlo dobbiamo agire rapidamente ed energicamente.
Oggi molti paesi tra cui Australia, Stati Uniti ed Europa hanno implementato regole chiare per la gesitone delle risorse ittiche attraverso il sistema delle quote, l’aumento del numero delle aree marine protette e lo studio di attrezzi da pesca dal minor impatto ambientale.
Queste regole purtroppo non sono ancora implementate a livello internazionale dove la pesca industriale agisce ancora senza regole.
Come sempre noi consumatori abbiamo l’ultima parola al riguardo perché siamo noi con le nostre scelte quotidiane ad avere il potere decisionale.
Purtroppo da soli ci sentiamo impotenti, solo insieme possiamo veramente fare la differenza ed è proprio questo uno dei motivi principali dell’esistenza del canale Keep the Planet, di fare gruppo, di condividere la conoscenza e di agire di conseguenza.
In Italia dal 2014 vige fortunatamente il sistema di tracciamento che indica le informazioni da includere nelle etichette sul banco del pesce per aiutare i consumatori a fare scelte consapevoli e sostenibili.
Ogni etichetta deve indicare il nome commerciale e scientifico della specie, la zona di provenienza, il metodo di pesca utilizzato, se è stato pescato o allevato.
Nonostante i limiti dovuti a frodi, questo sistema ti aiuta a capire cosa comprare, quando comprare e dove comprare.
Migliori prodotti ittici
Ora la domanda sorge spontanea, quali sono i prodotti ittici che hanno il minor impatto ambientale?
Sono consapevole che sono tante le domande da rispondere come ad esempio se la specie che stai acquistando è una specie in declino, se il mezzo di pesca usato riduce le catture accidentali di specie protette come squali, delfini e tartarughe, se il pesce è di stagione, se è stato pescato in acque locali, e così via.
Tutte domande legittime che andremo a rispondere via via sui vari video in questo canale che spero sia di tuo gradimento.
La prima categoria di prodotti ittici da scegliere sicuramente sono i bivalvi di allevamento come le cozze che oltre ad avere un basso impatto ambientale, sono utili alla conservazione marina.
I molluschi infatti possiedono una rilevante capacità di bio sequestro, ovvero di rimozione dell’anidride carbonica disciolta in acqua, essendo il carbonio uno dei mattoni fondamentali per la sintesi del guscio.
Una proprietà che rende questi frutti di mare, alleati preziosi contro i cambiamenti climatici.
Gli allevamenti di cozze inoltre offrono rifugio a moltissime specie di pesci che qui possono trovare un riparo sicuro.
Importante inoltre è verificare la presenza del Marchio MSC, un ente internazionale che certifica che le aziende di pesca aderenti rispettino parametri standard di sostenibilità.
Un discorso a parte merita l’acquacoltura, un argomento delicato che merita un video dedicato che ovviamente farò.
Bene, per questo video è tutto, se sei interessato alla biologia marina, alla riduzione del tuo impatto ambientale e alla natura in generale, iscriviti al canale per non perdere i prossimi video.
Tutti insieme, possiamo cambiare il mondo. ciao.
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Un recente documentario ha fatto emergere che l’MSC rilascia il marchio di “pesca sostenibile” a cani e porci poiché gli “osservatori” che dovrebbero controllare quello che fanno i pescherecci spesso vengono corrotti o uccisi. Quello che succede in mare aperto rimane in mare aperto a quanto pare.
Ho visto il documentario, bisogna anche vedere la risposta dei diretti interessati, Seaspiracy è di grande impatto, ma purtroppo ha anche dei limiti scientifici. A breve spero di poter raggiungere MSC direttamente per sentire la loro risposta.