In questo articolo vediamo insieme che cos’è il terzo settore.
Quando si parla di economia e di welfare ci sono tre settori ai quali solitamente ci si riferisce.
Il primo settore, che è regolato dallo Stato, dalla Pubblica Amministrazione e dagli Enti locali.
Il secondo settore, che è quello del privato, con le sue motivazioni economiche.
E, infine, il terzo settore, che viene chiamato anche terzo settore no-profit (anche se vanno fatte le opportune differenze). Riguarda quindi tutte le società private che agiscono senza scopo di lucro e a tutela del bene comune.
Questi enti, infatti, sono presenti in più ambiti, come: l’assistenza alle persone con disabilità, la tutela dell’ambiente, l’ambito dei servizi sanitari e socio-assistenziali e l’animazione culturale.
Quando si parla di attività senza scopo di lucro, non ci si riferisce a enti che non hanno dei guadagni, ma ci si riferisce a società che reinvestono i loro guadagni nel finanziamento delle loro opere. Quindi non sono soldi che vanno ai membri o ai dipendenti.
Pertanto, sono enti del terzo settore anche le imprese sociali, le cooperative o anche semplici associazioni che svolgono attività di impresa.
Il terzo settore non è solo un impegno sociale organizzato, ma anche un importante motore dell’economia nazionale, ispirato da una finalità condivisa di cittadinanza, solidarietà e utilità sociale.
In alcuni casi, il terzo settore è stato erroneamente sovrapposto alle organizzazioni non profit, un complesso di soggetti privati che agiscono senza riallocare i profitti e in molti casi intervengono in ambiti simili (es. assistenza sociale, cultura, salute, cooperazione internazionale). Sebbene possano esistere somiglianze, il terzo settore rappresenta una gamma ben definita di soggetti vincolati da regole ferree.
Terzo settore definizione: la storia e le leggi
Una prima definizione del terzo settore si è avuta già a metà degli anni ‘70 del XX secolo, in Europa. Il terzo settore veniva allora separato dallo Stato e dal Mercato.
Dal momento che fornisce servizi per il bene della comunità, ha un suo ruolo nel benessere della società (così come, appunto, lo Stato e il Mercato.
Per quanto riguarda il terzo settore in Italia, il termine si conosceva già dagli anni ’80 del ‘900, ma una riforma vera e propria è solamente recente. Ci riferiamo infatti alla Legge delega 106 del 2016, la “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”.
Tale legge definisce il terzo settore come: “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.
Tali enti attuano il principio di sussidiarietà e agiscono in coerenza con i propri statuti o atti costitutivi, promuovendo e realizzando delle attività di interesse generale avvalendosi di forme di azione volontaria e gratuita oppure di mutualità o, ancora, di produzione e scambio di beni e servizi.
La legge delega afferma che per far parte del terzo settore si debbano avere i seguenti requisiti: natura giuridica privata, assenza di scopo di lucro, avere un proprio statuto o atto costitutivo, perseguire finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, attuare il principio di sussidiarietà, promuovere e realizzare attività di interesse generale, ricorrere a forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.
Tale legge definisce anche chi non fa parte del terzo settore, con un articolo apposito. Sono quindi esclusi: le formazioni e le associazioni politiche, gli enti pubblici e gli enti da essi controllati, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche (che sono enti privati con finalità economiche).
Riforma del terzo settore: il decreto legislativo 117 del 2017
La legge delega 106 del 2016 aveva anche stabilito che, dopo 12 mesi dalla sua approvazione, fossero emanati dei Decreti Legislativi su vari argomenti.
Uno di essi era appunto il riordino e la revisione della disciplina del terzo settore e del codice del terzo settore. A tal proposito, entra in gioco il decreto legislativo 117 del 2017.
Tale decreto definisce quali sono gli enti che fanno parte del terzo settore: le organizzazioni di volontariato (abbreviate con ODV), le associazioni di promozione sociale (abbreviate con APS), le società di mutuo soccorso (abbreviate con SOMS), gli enti filantropici, le imprese sociali (tra le quali troviamo le cooperative sociali, le reti associative, le associazioni, riconosciute o non riconosciute), le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità.
Tutte queste associazioni devono essere iscritte nel registro unico nazionale del Terzo settore (il RUNTS). Con questo decreto vengono annullati la qualifica fiscale di “Onlus” e il relativo acronimo.
Quindi, come abbiamo già detto più volte, ciò che contraddistingue le associazioni che fanno parte del terzo settore da quelle del primo e del secondo settore, sono: l’impegno sociale, con finalità di beneficio per terzi e l’assenza di scopo di lucro (non l’assenza di guadagni).
Terzo settore RUNTS: quali enti ne fanno parte
Con l’emanazione del decreto legislativo 117 del 2017 (e degli altri decreti) e, di conseguenza, la regolamentazione del terzo settore, dal 2021 esiste il RUNTS. Si tratta dell’acronimo che indica il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, ovvero un registro telematico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Tale registro è nato per assicurare la massima trasparenza agli enti del terzo settore (abbreviati come ETS).
Chi si iscrive a questo registro, ottiene, appunto, la dicitura di ETS (ente del terzo settore), oppure le diciture più specifiche di Organizzazione di Volontariato (ODV), Associazione di Promozione sociale (APS), Ente Filantropico o di Rete Associativa.
Di conseguenza, essi potranno ottenere dei benefici di natura fiscale, potranno accedere al 5 per mille e ottenere alcuni contributi e alcune convenzioni in base alla loro categoria specifica.
Chi non è iscritto al RUNTS non può quindi esibire la dicitura di “Ente del Terzo settore”. Dato che si tratta di un registro che garantisce la trasparenza, il RUNTS è pubblico e può essere consultato sia dalle pubbliche amministrazioni che dagli interessati in materia.